La rivoluzione russa del 1917, con gli eventi che la precedettero e la seguirono, hanno visto la creazione del primo stato socialista del mondo, il quale prese impegni espliciti per promuovere la parità tra uomini e donne. Molte tra le prime femministe e operaie russe parteciparono attivamente alla rivoluzione, mentre molte altre sono state colpite dagli eventi accaduti in quel periodo e dalle nuove politiche dell'Unione Sovietica.
A partire dall'ottobre del 1918 la neonata Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche liberalizzò il divorzio e l'aborto nelle sue legislazioni, depenalizzò l'omosessualità, permise la convivenza al di fuori del matrimonio ed inaugurò tutta una serie di riforme che permisero una vera e propria rivoluzione sessuale rossa[1].
Ma senza il pieno controllo delle nascite questa emancipazione finì presto col produrre molti matrimoni falliti, così come numerosi bambini nati senza un padre[2].
L'epidemia di divorzi e i relazioni extraconiugali crearono un qual certo disagio sociale, mentre i maggiori leader sovietici volevano che le persone concentrassero i loro sforzi nella crescita dell'economia. Dare alle donne sovietiche il controllo della fertilità tramite la contraccezione portò anche ad un rapido declino del tasso di natalità, percepito come una minaccia per la potenza militare del loro paese, in vista dello scoppio di lì a un decennio della Seconda guerra mondiale.
Nel 1936 Stalin invertì la maggior parte delle leggi liberali, rendendo di nuovo illegale l’aborto (che verrà reintrodotto nel 1955) e inaugurando un'epoca conservatrice in materia di diritti civili, pro natalista che è durata per i decenni a venire[3].
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